venerdì 11 dicembre 2009

MEDIAZIONE MURALE - I LATIN KING DIPINGONO ALL'UNIVERSITA'


























17 gennaio 2008


MEDIAZIONE MURALE. CARTOGRAFIA DELLA CITTA’ VERTICALE
di Luca Bellino e Maria Rosa Jijon


lucabellino@gmail.com
rosajijon@gmail.com

La città internazionalizzata nasce sui muri, si disegna nuova in uno spazio che non ha padrone, nell'accumulo di segni incoerenti, tessuto di un futuro invisibile alla ragione ma tangibile all'occhio. Cerchiamo la città di domani e la troviamo verticale, sparsa sui muri, sulle saracinesche, alle fermate del bus. La città del futuro è già esposta, in verticale.

Il corpo è disteso, bacheca di una società dal busto deforme nel suo agglomerato di arti, finalmente libera di mostrarsi nella sua imprecisione, nella sua indeterminatezza, senza contratti con l'immagine pubblicitaria dell'unità, del movimento uniforme, un corpo capace di ripiegarsi, di ripetersi, di annullarsi e rinascere monco, o millepiedi. La città che domina sulla statica della paura è quella orizzontale, la società internazionalizzata che nasce, si espone sui muri, nei caratteri d'altre lingue, nei codici d'altri popoli.

Gli spazi pubblici si vanno trasformando e le nuove generazioni utilizzano spontanei strumenti di comunicazione e appropriazione dell’ambiente metropolitano, mentre le attività commerciali e culturali lasciano impronte del loro passaggio e della loro esistenza. La città, fisica e tangibile, dissemina messaggi e immagini, a volte lasciate a mo' di impronta o marchio dai suoi abitanti, temporanei o permanenti.

All’occhio e alla pratica dell’artista, lo spazio urbano verticale diviene il legame tra osservazione e emotività, è il primo segno tangibile della presenza e del contatto. Il muro è la risultante dello scontro tra istituzione e immaginario, tra passaggio e assenza, o forse solo il terreno della libertà, della mancanza di proprietà (invendibilità dell’immagine murale), della perdita del controllo.

La società internazionalizzata si distende sui nostri muri, e nessuno può controllare il suo inesorabile disegno. Quando il gusto dell’esotico perde la sua caratteristica principale, la lontananza, si inserisce nella cultura popolare. I codici dell’immaginario sono i primi a calare nel braciere della contemporaneità, sono i primi a passare dalla nicchia al pop, lì dove per pop si può intendere una massa indistinta di segni condivisi contro la volontà e la coscienza. E l'immaginario tradisce le leggi, le invettive, e le paure. Proprio nelle strade, metafisica del potere che vuole il controllo della comunità e il dominio dello spazio geografico, e sui muri, vera e propria pelle della città, i graffiti, gli stencil, i murales, gli schizzi di colore, le firme, gli interventi grafici, coincidono con la forza e la forma di un tatuaggio, che marca indelebilmente un momento della propria vita o della propria storia. Così si fa del proprio corpo, fisico e urbano, un luogo di narrazione in mostra perpetuamente rinnovabile.

La strada e l’arte urbana sono l'avanguardia dell’internazionalizzazione: in strada si incrociano lo spontaneo e la struttura, l’estraneo e la giurisprudenza, e si cementa l'immaginario (non c’è rivoluzione che non abbia inizio da una profezia e la profezia è il seme dell’immaginario), che ci trova puri e incoscienti, vergini, sbigottiti nell’evidenza delle risposte che non hanno bisogno di domande.

La città con i suoi segni si esprime in un corpo verticale, onnipresente: i muri sono frontiera tra pelle e aria, le insegne tratteggi di un busto disegnato di getto, senza imitazioni o influenze di pittori lontani. La città ha un corpo spontaneo, museo calendario, museo orologio, un corpo che espone segnali ambigui, lasciati scorrere in una mostra dal percorso labirintico, una mostra il cui artista è ignoto, la cui firma vale un'occhiata, e un ricordo.

Nessun commento:

Posta un commento